lunedì 25 agosto 2014

Ma la soia chi la munge?


Siamo nati in una terra di mezzo, là dove qualcuno usciva da un lungo periodo di sofferenza di fame e di guerra e qualcun’altro entrava in un periodo di illusione e finto benessere. 
Lì siamo nati in quella terra di finta libertà, di melensa democrazia, di falso moralismo, di inutile competività. Ci dicevano che la vita si sarebbe allungata a dismisura, ma non ci dicevano che si sarebbe allungata soprattutto la fatica e il malessere di viverla. Saremmo andati sulla luna e ancora oggi non si capisce a cosa sia servito. Avremmo sviluppato l’energia nucleare, ma ancora oggi, a parte l’uso bellico, non sappiamo a cosa serva. La medicina avrebbe fatto grandi progressi, dicevano, ma ancora oggi si muore di lebbra, di tubercolosi, di malaria, di ebola, di hiv, perché non è il morbo che va sconfitto ma lo stile di vita e la cultura del viverla.

I bambini di allora in pantaloni corti fino all’età dell’adolescenza volevano fare gli astronauti, i piloti, gli scienziati e non immaginavano che i loro figli avrebbero voluto fare i calciatori, le veline o tutto al più il semplice impiegato alle Poste.
Lo diceva la televisione, e se una cosa la diceva la televisione, potevamo stare certi che non poteva essere contraddetta.
I lavori manuali sarebbero scomparsi, le macchine avrebbero preso il posto della classe operaia che sarebbe così potuta andare tranquillamente in paradiso, avremmo avuto tanto, ma tanto tempo libero. Nessuno però ti diceva che cosa ne avremmo fatto di tutto questo tempo libero. Il tempo libero ieri come oggi determina ansie e depressioni, nel tempo libero occorre pensare che cosa fare, del e nel, tempo libero.

La nostra infanzia era costruita, quotidianamente scadenzata, dalla alimentazione, la  bistecca era fondamentale, senza fettina dalle Alpi al mediterraneo non si poteva sopravvivere, perché: magro era sinonimo di povero malnutrito e ignorante.
Oggi grasso è sinonimo di povero malnutrito e ignorante.
Allora sapevamo che in prossimo futuro illuminato ci saremmo nutriti con gli alimenti in pillole degli astronauti, ma allora dovevamo accontentarci della bistecchina, del formaggino triangolare solido o di quello rotondo e molliccio, la carta stagnola la accantonavamo per i ciechi, non ho mai capito cosa se ne facessero, erano ciechi!
La brioche era “incellofanata”, il succhino in bottiglia, la gelatina implasticata, la carne inscatolata, la marmellata colorata, la cioccolata spalmabile, l’ovomaltina in polvere, il caffe solubile, l’aranciata frizzante e il pollo la domenica, una lussuria.
Era il progresso che avanzava e la civiltà dell’industria alimentare significava progresso: così il brodo si iniziò a farlo con il dado,  arrivarono biscotti, crackers, salatini, salamini e merendine, caramelle e gomme da masticare.
Nel nuovo mondo tutto immaginario, il cibo non proveniva dalla campagna, il contadino non esisteva e i suoi figli sognavano la città, dove il pane non era massiccio e insipido, cotto settimanalmente nel forno a legno, ma morbido e quotidiano.
Ci ingozzavano o ci ingozzavamo di tutto pur di raggiungere i punti per avere la mucca Carolina. Gli Italiani mangiavano per essere quello che non erano o diventarlo loro malgrado.  I quotidiani allora come oggi, servivano per incartare il pesce o ritagliati al cesso, ma poi la carta igenica li ha nobilitati, ma non salvati.
Tutto nella terra di mezzo ci sembrava raggiungibile fattibile, sognabile realizzabile: un diploma per tutti, una laurea per tutti, un’automobile per tutti, una casa per tutti. 
In seguito abbiamo pensato fosse immorale mangiare la bistecchina, iniziato a provare allergie fastidiose per il latte, a incolpare uova e formaggi di procurato danno da colesterolo.
La soia sarebbe così diventata la nostra salvezza, ristoranti vegani dagli improponibili nomi tipo Camomilla o Clorofilla iniziarono a popolare i quartieri, ghigliottinando beccari e tripparoli dell'ancien regime
Ora qualcuno li avverta che la Soia non è un animale da proteggere solo perché produce latte e bistecche.


Poi improvvisamente dopo aver lottato per conquistarci il nostro carrello quotidiano al supermercato, improvvisamente con una trasformazione schizzofrenica siamo tornati a cercare il contadino, in quel podere che non c’è più, in quella stalla dal tetto crollato, in quell’aia deserta, ma con un po’ di fortuna, all’uscita del casello autostradale possiamo incontrare un agriturismo e lì in un nuovo sogno di vita, con desideri nuovi, ma esigenze di sempre, potremo appagare la nostra volontà di ritorno alla natura, tornando là da dove eravamo partiti e fuggiti: le uova fresche di giornata, il pane integrale, il latte bio, il formaggio grasso ma che non ingrassa, la gallina ruspante, il brodo di cappone, il vino sincero e l’aria pulita. 
Abbandonando per qualche ora l’auto e ricomperandoci la bicicletta potremo anche, forse, perdere quei chili acquistati a caro prezzo, potremo anche, forse, depurarci il corpo, 
ma non certo salvarci l’anima. 
Quella ce la siamo venduta da tempo.

domenica 16 febbraio 2014

Tutto e Subito


Rivogliamo indietro “tutto e subito”, ridateci il camparino, il frizzantino, il gingerino, il birrino.  Ridateci i locali della Roma lazzarona, i tristi papponi di via Veneto con le loro finte ragazzine, ridateci il Pippistrello, il Vampiro, i piacioni, i vitelloni, i culoni, le tettone e le gatte morte, ridateci quella dolce vita che non nuoceva neppure al più disastrato dei diabetici, tanto non era dolce. Ridateci i democristiani, i censori e la censura, l’hotel Raphael e le Botteghe Oscure, i preti e soprattutto i loro seminaristi, ridateci le monachelle, quelle di Monza, ma anche quelle di Cologno Monzese, ridateci le suore dal capellone bianco, ma anche i capelloni, ma non quelli dai capelli grigi o peggio ancora i calvi con il riportino.  Ridateci il Charleston con i suoi camerieri compiacenti, le bottiglie di Cristal già stappate e le escort mai sbronze, ridateci i privé, ridateci l’Hollywood, Lele Mora, Corona e le sue coroncine, ridateci l’Armani privé, il Cavalli privé, il Trussardi, il Motta e il mottarello, il Gin Rosa e la Terrazza Martini. E già che ci siamo ridateci il Bolognese, la Cesarina, e l’Andrea, l’Augustea e l’Alfredo con le sue taglioline marmoree, ma allora ridateci anche la Bice, il Boeucc e il Girarrosto, il Baretto e il Jamaica, il Patuscino e l’HobbyOne!
Ridateci Gigi Rizzi e la Carrà con il suo TucaTuca e ridateci il Toqueville con le (presunte) troie russe e le Pr svalvolate.
Rivoglio indietro Roma e la Milano da bere! Con le sue bassezze e i suoi vizi! Con i suoi eccessi e le sue mancanze!  Con la Banque altro che banche,  quel claustrofobico caveau anni ’90 tutto divani, velluti e parvenu, ultime frattaglie dell’edonismo reganiano degli anni ’80, modelle rottamate, uomini della peggior finanza, palazzinari, evasori e figli di imprenditori già in odore di fallimento, fiumi di champagne e cuba libre, parlavano di barche, di auto, di Santa, di Curma, di Cortina e di cambiamento.
Mi manca un po’ quella loro voglia di cambiamento