Siamo nati in una terra
di mezzo, là dove qualcuno usciva da un lungo periodo di sofferenza di fame e di guerra e qualcun’altro entrava in un periodo di illusione e finto
benessere.
Lì siamo nati in quella terra di finta libertà, di melensa
democrazia, di falso moralismo, di inutile competività. Ci dicevano che la vita
si sarebbe allungata a dismisura, ma non ci dicevano che si sarebbe allungata
soprattutto la fatica e il malessere di viverla. Saremmo andati sulla luna e
ancora oggi non si capisce a cosa sia servito. Avremmo sviluppato l’energia
nucleare, ma ancora oggi, a parte l’uso bellico, non sappiamo a cosa serva. La
medicina avrebbe fatto grandi progressi, dicevano, ma ancora oggi si muore di
lebbra, di tubercolosi, di malaria, di ebola, di hiv, perché non è il morbo che
va sconfitto ma lo stile di vita e la cultura del viverla.
I bambini di allora in pantaloni corti fino all’età
dell’adolescenza volevano fare gli astronauti, i piloti, gli scienziati e non
immaginavano che i loro figli avrebbero voluto fare i calciatori, le veline o
tutto al più il semplice impiegato alle Poste.
Lo diceva la televisione, e se una cosa la diceva la televisione,
potevamo stare certi che non poteva essere contraddetta.
I lavori manuali sarebbero scomparsi, le macchine avrebbero preso
il posto della classe operaia che sarebbe così potuta andare tranquillamente in
paradiso, avremmo avuto tanto, ma tanto tempo libero. Nessuno però ti diceva
che cosa ne avremmo fatto di tutto questo tempo libero. Il tempo libero ieri
come oggi determina ansie e depressioni, nel tempo libero occorre pensare che
cosa fare, del e nel, tempo libero.
La nostra infanzia era costruita, quotidianamente scadenzata, dalla
alimentazione, la bistecca era
fondamentale, senza fettina dalle Alpi al mediterraneo non si poteva sopravvivere,
perché: magro era sinonimo di povero malnutrito e ignorante.
Oggi grasso è sinonimo di povero malnutrito e ignorante.
Allora sapevamo che in prossimo futuro illuminato ci saremmo
nutriti con gli alimenti in pillole degli astronauti, ma allora dovevamo
accontentarci della bistecchina, del formaggino triangolare solido o di quello
rotondo e molliccio, la carta stagnola la accantonavamo per i ciechi, non ho
mai capito cosa se ne facessero, erano ciechi!
La brioche era “incellofanata”, il succhino in bottiglia, la
gelatina implasticata, la carne inscatolata, la marmellata colorata, la
cioccolata spalmabile, l’ovomaltina in polvere, il caffe solubile, l’aranciata
frizzante e il pollo la domenica, una lussuria.
Era il progresso che avanzava e la civiltà dell’industria
alimentare significava progresso: così il brodo si iniziò a farlo con il dado, arrivarono biscotti, crackers, salatini, salamini
e merendine, caramelle e gomme da masticare.
Nel nuovo mondo tutto immaginario, il cibo non proveniva dalla
campagna, il contadino non esisteva e i suoi figli sognavano la città, dove il
pane non era massiccio e insipido, cotto settimanalmente nel forno a legno, ma
morbido e quotidiano.
Ci ingozzavano o ci ingozzavamo di tutto pur di raggiungere i punti
per avere la mucca Carolina. Gli Italiani mangiavano per essere quello che non
erano o diventarlo loro malgrado. I
quotidiani allora come oggi, servivano per incartare il pesce o ritagliati al
cesso, ma poi la carta igenica li ha nobilitati, ma non salvati.
Tutto nella terra di mezzo ci sembrava raggiungibile fattibile,
sognabile realizzabile: un diploma per tutti, una laurea per tutti,
un’automobile per tutti, una casa per tutti.
In seguito abbiamo pensato fosse immorale mangiare la bistecchina, iniziato a provare allergie fastidiose per il latte, a incolpare uova e formaggi di procurato danno da colesterolo.
La soia sarebbe così diventata la nostra salvezza, ristoranti vegani dagli improponibili nomi tipo Camomilla o Clorofilla iniziarono a popolare i quartieri, ghigliottinando beccari e tripparoli dell'ancien regime.
Ora qualcuno li avverta che la Soia non è un animale da proteggere solo perché produce latte e bistecche.
Poi improvvisamente dopo aver lottato per conquistarci il nostro
carrello quotidiano al supermercato, improvvisamente con una trasformazione
schizzofrenica siamo tornati a cercare il contadino, in quel podere che non c’è
più, in quella stalla dal tetto crollato, in quell’aia deserta, ma con un po’
di fortuna, all’uscita del casello autostradale possiamo incontrare un
agriturismo e lì in un nuovo sogno di vita, con desideri nuovi, ma esigenze di
sempre, potremo appagare la nostra volontà di ritorno alla natura, tornando là
da dove eravamo partiti e fuggiti: le uova fresche di giornata, il pane
integrale, il latte bio, il formaggio grasso ma che non ingrassa, la gallina
ruspante, il brodo di cappone, il vino sincero e l’aria pulita.
Abbandonando
per qualche ora l’auto e ricomperandoci la bicicletta potremo anche,
forse, perdere quei chili acquistati a caro prezzo, potremo anche, forse,
depurarci il corpo,
ma non certo salvarci l’anima.
Quella ce la siamo venduta
da tempo.
