A Nizza un giovane franco-tunisino depresso e molto altro di più, compie una strage in una forma scientemente programmata e premeditata. In Baviera un giovanissimo tedesco-iraniano, depresso, sale su di un treno munito di ascia con intenzioni tuttaltro che pacifiche, mentre un suo coetaneo, un tedesco-iraniano, certamente depresso ed emarginato da una società ricca e cattiva gioca a fare il piccolo Breivik a Monaco di Baviera e invece di bere boccali di birra e farsi coetanee e cannoni in qualche ritrovo se ne va in giro come uno “sniper”. Nel Baden Wurttenbergg un ragazzo rifugiato siriano, e pure depresso e infelice, ammazza una donna incinta con un machete; mentre in Baviera un altro giovane, anch’egli con il passaporto di “depresso rifugiato” si fa esplodere durante un concerto, così, forse perché era musica del diavolo!
Ovvio che i giornaloni della sera e pure del mattino, sguazzano in queste carneficine, accaparrandosi notizie, abbozzano bozze senza capirle ma soprattutto senza mai prendere una posizione, perché le notizie stanno sempre separate fatti, ma soprattutto dai giornali. Prime e seconde edizioni di nulla provano a seguire senza scivolare sulle piste di sangue, inseguono e non spiegano, impaginano ma non immaginano, elaborano elzevire che assomigliano sempre più a dei coccodrilli buoni solo per Montecitorio o Piazza San Pietro, celebrazioni autoconsolatorie buone sempre come il maiale di cui non si butta via nulla, buone per il rosario, per il funerale o per il giorno della resurrezione. Perché lorsignori il giornalismo è questo, che un giorno ricorda Oriana Fallaci come la madre di tutte le informazioni, ma, in quanto santa e vergine va solo idolatrata, sia mai che qualcuno tenti di imitarla e proseguire il suo cammino. Autoconsoliamoci dunque così: non è una rivolta, non è una rivoluzione, non è una invasione, è solo depressione. Una straniante rassicurazione: non dobbiamo combattere il terrorismo, ma solo una malattia mentale, dove gli antidepressivi andranno alla grande, se poi riusciranno ad ingollarsi con una buona bottiglia di gin, e per non avere degli ex depressi gastritici, allora via di malox, come se fosse riopan per i denti! Così questi ragazzi, sbarcati, vestiti, nutriti, istruiti (male), forse usciranno dal tunnel, dobbiamo aiutarli ad uscirne, perché siamo noi, il sistema, che li abbiamo disadattati, vittime del sistema che agiscono come primati davanti alla musica, ai colori, alla pelle scoperta, a quell’odore di libertà che da alla testa.
Loro sono le vere “vittime” del sistema, peccato che loro in quanto vittime continueranno vivere ed essere mantenute, ma le loro vittime reali resteranno stese per terra per sempre. Ecco dunque che l’informazione grottesca e garantista ci rassicura, non è terrorismo, non è Isis, sono solo gesti isolati, di folli. Ma la follia, che agita e partorisce il terrore, ha un unico fine: l’uso della strage, la propagazione della paura, l’induzione al rinchiudersi nella case, nelle tane, nelle cucce, perché il terrore è da sempre il motore sinistro della storia e delle sue mutazioni.
La nostra società da mezzo secolo, dipende dalla informazione, ci muoviamo, viaggiamo o restiamo sempre in funzione di quella, le popolazioni crescono o calano, comperano o vendono, ridono o piangono, procreano o anche no, sempre e solamente in funzione della notizia. Le banche si salvano o falliscono, si compera oro o mattoni a seconda di come apre la borsa, nella vecchia Europa, che apre dopo Shangai e chiude un po’ prima di NY. Tutto incredibilmente si muove come in un teatrino mosso da televisioni, giornali e rete, dove si esprimono tutti: pensosi e penosi opinionisti, sociologi onanisti, psicologi turbati, scienziati consenzienti, criminologi impazienti, teologi atei, tribuni del popolo ma anche della popolarità, semiologi della domenica, ma anche del resto della settimana, astrologi sinceri e cartomanti indulgenti, venditori di pentole, ma anche di redenzioni. Tutti oggi hanno acquisito il diritto di parlare, che non vuol dire esprime una opinione, ma dare una opinione che diventa per tutti una certezza, ecco allora che ogni imbecille può declamare poesie, filosofeggiare sulla vita, indurre giurie a giudicare, liberalizzare o condannare, muovere scuole di pensiero che oggi più che mai, in una oziosa assenza di virilità, determinano tempeste ormonali e orgasmiche in tutte le signore “marie” ovviamente casalinghe di Voghera, un nome una condanna, per l’eternità. Cosa resterà di quegli anni “che l’ha detto il telegiornale”, nulla e tutto, ma una cosa è certa, come dice Woody Allen, l’unica verità sta nelle notizie meteo, forse. Così il problema oggi, non è il terrorista, lo stragista, l’anarchico, il fondamentalista, l’etremista, ma il depresso e la sua fanatica riproducibilità virale e seriale. Quindi il problema della nostra società non è la violenza, l’assassinio di massa, la cultura dell’odio, la religione del coltello che lacera e dissangua, il disprezzo verso le donne, la cultura dell’odio, l’esaltazione della morte come redenzione, la volontà di incutere terrore, l’inoculazione dell’idea dell’idea di sterminio, di pulizia etnica, non il terrorismo come forma camaleontica di un nichilismo non solo individuale, ma sempre più collettivo, no, dobbiamo avere paura dei folli. Dunque tutta colpa di Basaglia? Quando pensiamo di aver toccato il fondo, pecchiamo sempre di presunzione, e per capire lo sprofondo dovremmo rileggerci “Le veglie di Bonaventura”, opera del romanticismo tedesco, dove il protagonista vive di notte e veglia sull’ordine della città, un mondo di pazzi, dove il nichilismo purifica ogni cosa. Noi no, noi siamo occidentali, garantisti, assistenziali, alcuni cristiani, altri no, ma che importata d'altronde oggi tolleriamo perfino gli ebrei e i gay… Però a guardarli bene negli occhi questi occidentali, hanno un grande handicap che si contrappone suddito all’invincibile atout dell’orientale: noi abbiamo paura a vivere, loro non hanno paura di morire.
Scriveva negli anni ’70 De Andre: “Per strada tante facce / non hanno un bel colore / qui chi non terrorizza / si ammala di terrore / c’è chi aspetta la pioggia / per non piangere da solo / io son di un'altra razza / son bombarolo”
Se analizziamo il cambiamento stragista dell’ultimo secolo ci rendiamo conto di una cosa che ha modificato radicalmente l’atto: il terrorista ancien régime metteva la bomba, al massimo la lanciava, ma fondamentalmente non si martirizzava, anzi spesso e “molto” volentieri, restava vigliaccamente anonimo, in quanto si salvava e osservava godeva di nascosto della visione della sua opera. Il criminale di oggi invece è un esibizionista, deve essere al centro della strage, a volte si bea di essere osservato mentre la compie e come primo attore, autore, sceneggiatore e regista, lì resterà al centro della scena. L’atto criminale di far saltare un aereo, lo si potrebbe compiere con un razzo terra aria, non occorre rischiare di essere colto ai controlli doganali, salire sull’aereo, rischiare di essere presi dal panico, eppure solo così si è artefici, vittime sacrificali e dei fra gli dei. Quindi sull’aeroplano, dentro alla metro, su di un treno, in un locale pubblico, loro ci saranno, fino a qualche istante prima anonimi instabili e depressi, ma un attimo dopo, agnelli sacrificati per il nulla. Siamo davvero come sempre ad un passo dal nulla, perché la storia non perdona e si riprende sempre quello che gli uomini hanno pensato di poter cambiare, dalla crocifissione, a Giulio Cesare, alla revolverata di Sarajevo, ai bambini perduti sulla Croisette di Nizza.
Ci sono dei confini, anche se il libertarismo che abbiamo faticosamente conquistato ci illude che non esistano confini, i confini ci sono. Viviamo nell’illusione di poter fare tutto ciò che desideriamo, anche sapendo che è sbagliato (e questo impunemente e delittuosamente è anche quello che abbiamo trasmesso ai giovani), possiamo fumare, bere, mangiare a crepapelle, ubriacarci e vomitare, ingrassare e dimagrire, fare sesso sempre e (quasi) ovunque, sposarci e separarci, fare figli e abbandonarli, mietere dissenso, sporcare le città, denigrare la patria, rubare, non pagare le tasse, bestemmiare e sputare (non ci sono più i cartelli nei luoghi pubblici che lo vietavano). E nonostante io ricordi sempre le parole di Cipputi: “spero che ci sia sempre qualcuno pronto a dare la vita per difendere il mio diritto a dire tutte le cazzate che penso” concludo affermando che i confini esistono, e sono un baluardo del tempio o del castello o della propria casa o della propria libertà che va difeso. Con ogni mezzo. I confini vanno difesi, controllati e presidiati, perché non si difende oggi un territorio, o una miniera, si difende una civiltà fatta di millenni di storia, di arte, di cultura, di progresso, di leggi e di giustizia liberale, di libertà dei cittadini, delle donne e dei loro diritti, dei minorenni, della libertà di istruzione, di pensiero e religione. Se c’è un problema umanitario di assistenza a questo occorre rispondere con atti e parole di civiltà, ricordando sempre che l’eccesso di tolleranza con gli intolleranti, provoca la scomparsa dei tolleranti e della tolleranza, così scrisse il grande filosofo Karl Popper, e che lo si sappia, e che tutti lo sappiano: le teocrazie islamiste sono incompatibili con la cultura occidentale, che capitalismo e stato liberale, sono da migliorare e non da abbattere, che la propaganda dello sterminio e dell’odio diffusa anche sui social, è un’arma di distruzione di massa e va fermata.
La vita virtuale, è una malattia, produce solo alienazione e al peggio assassinio di quella reale.

Accipicchia!!!!
RispondiEliminaGrandissimo, complimenti!
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